Dall'aprile del 1955, in casa e per unica compagnia, ho un gatto; mi fu regalato, allorché contava appena un mese di età. Malgrado i non pochi difetti, tra i quali, sorprendente, è quello della voracità, gli devo essere grato per vari motivi, sopra tutto per la pulizia, che, principalmente, mi ha dato la pazienza di sopportarlo così lungamente. Non ha alcun requisito speciale; non è un angora, persiano, siamese o di altra razza pregiata; è un comune esemplare di felino domestico, come da noi sempre ce ne sono stati tanti e come ancora s'incontrano nelle vecchie case, nelle quali non se ne può fare di meno, se non si vuol vivere in compagnia dei topi.
Di essi mi resta incancellabile il ricordo del triste spettacolo di fame e di sete che - randagi - offrivano, per le vie cittadine, nell'estate del '43, allorché i « liberatori» vomitarono su di noi tonnellate di fuoco. Alla pari di tante belle e brutte cose della vita, tra i miei ricordi infantili, c'è, a tal proposito, anche quello di un certo «Ntonio u ngappagatte », veniva ogni settimana da un Comune vicino della nostra provincia, che non nomino, perché i miei concittadini chiamavano quegli abitanti « magnagatti ».
Antonio era un uomo alto e corpulento, sempre fornito di un sacco di tela, in cui poneva i gatti che acquistava per dieci o dodici soldi al grido di «chi vale venne na gattee ». Quale precursore di «Tarzan» nessun animale resistiva alla morsa delle sue mani. I gatti, dei quali le massaie si disfacevano, avevano i difetti di essere sporcaccioni, deboli cacciatori di topi, famelici; alla pari del mio, ma di leccornie perché solo pane o scarsamente condito, mai l'ha voluto mangiare.
Nei vecchi tempi l'insaziabilità dei gatti era attribuita alla «cialanghe », parificata alla tenia, con la differenza che mentre di questa si può guarire, della prima, secondo la credenza popolare, non si poteva liberare se non si provvedeva opportunamente in tempo. Il provvedimento era quello di accorciare la coda, il che recava anche il beneficio di vedere migliorare le fattezze dell'animale, dato - alla pari della castrazione - il suo ingrassamento. Allo scopo di evitare che fosse meno dolorosa e possibilmente letale, all'« operazione chirurgica» senza anestesia, si procedeva nel seguente modo: qualche settimana dopo la nascita del micino, uno dei cocchieri padronali, specializzati nella materia, con un morso recideva le ultime vertebre, alle quali restava attaccato un filo bianco di midollo spinale, ritenuto la « cialanghe » alla quale la voce popolare attribuiva la smodata insaziabilità e lo scarso sviluppo. Molti sono - oggi - i cittadini che non vi prestano più credito, anche perché gli «operatori» specialisti sono scomparsi a causa dello sviluppo automobilistico che ha eliminato le carrozze signorili, motivo per cui molta gente ignora questo particolare della locale storia felina. A contestare la mia incredulità restano però le spiccate qualità del mio «compagno» domestico: insaziabilità, coda lunga, magrezza.
Perché nessuno sa che nei periodi a Foggia di fame,in particolare quelli della seconda guerra mondiale, i gatti per il sapore uguale al coniglio veniva catturato per essere cucinato e mangiato. Da qui il termine cialanghe.
Tratto dal mio libro c'era una volta a Foggia.
A CURA DI
ETTORE BRAGLIA