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LA BICI A FOGGIA

30/11/2018 / Lo sapevate che...

Il motore, ti ha messo alla berlina, ti ha ucciso.

Il tuo debutto nel 1866 a Foggia, quando la diligenzaimpiegava una stagione per raggiungere Vieste o il Gargano, tragittirelativamente lunghi.

Quando nascesti tu, i giovani dell’alta società foggianafurono entusiasti delle raggiate ruote, enormi e disarmoniche.

Possedere la bici era uno chic a cui nessun gagà di Foggiapoteva rinunciare. Viceversa i poveri dovevano limitarsi a guardarla adosservare la continua incessante evoluzione perché era un miraggio, un mezzoinaccessibile per le loro tasche.

Nel 1900 la comparsa dell’automobile costrinse i ricchi adabbandonare il manubrio per il volante; i tempi imponevano, il nuovo acquisto,e mentre i vari duchi ed i vari marchesi, in cassetta alle rudimentali auto, sitrasformavano in sportivi dagli occhiali affumicati e dallo spolverino biancomostrando le auto in piazza Cavour, tu bicicletta divenisti allora, ma soloallora, il mezzo di trasporto popolare e trionfasti per decenni. Fosti la gioiadei contadini, degli operai, degli impiegati, complice servizievole di amorisbocciati in una gita collettiva fuori porta di città nelle campagne delTavoliere.

Fra il 1920 ed il 1930, le gesta dei campioni, diGirardengo, Binda, di Guerra e Bartali, avevano reso di dominio pubblico leinfinite possibilità della bicicletta.

Nel 1939 in giro per l’Italia, si contavano ben settemilioni di biciclette effettive, consistenti, reali lungo la Valle Padana, ilTavoliere delle Puglie e l’Adriatico, sciamavano allegri ciclisti fischiettantial suono dei gioiosi campanelli. Era la festa della gioventù, era la fieradella spensieratezza.

Vennero però le piccole cilindrate ed il mondoautomobilistico e quello motociclistico bruciarono le tappe in quanto la genteincominciava a impigrirsi. Pochi avevano voglia di muoversi a spese delleproprie gambe e le utilitarie dichiararono guerra alla bicicletta. La secondaguerra mondiale proibì la benzina e l’uso dell’automobile e riapparve d’incantolo chic della bici cromata, aereodinamica e superleggera.

Il cambio di velocità entrò nell’uso corrente e non ci fucasa dove la bici non brillasse, tutta lucida e policroma, tanto leggera dapoterla prendere con un dito.

Finita la guerra, ognuno tornò al motore. Nacquero quindi ivelomotori, le motorette, sfreccianti da ogni dove. E mentre le stradecittadine ed i sentieri di campagna frastornati da rombante petulanza dimigliaia di motorini, la bicicletta sentì calare su di se l’ombra del tramonto.

I giovani continuavano ad entusiasmarsi per Coppi e Bartali,per Petrucci e per Albani e correvano in falangi per vederli passare, ma non siandava più pedalando ma a cavallo di una vespa, di una lambretta o una isomoto.C’è solo da fare una considerazione.

Se gli uomini pensassero solo quando siano dannosi allasalute i comodi della motorizzazione, e quanto invece sia utile e igienica unabella pedalata ogni tanto, per viale Ofanto, per Corso Giannone, la VillaComunale e la Stazione.

A CURA DI

ETTORE BRAGLIA