…era unafrase biasimevole, quasi offensiva, rivolta al compagno di gioco che necommetteva una grossa; oppure al maldestro intento a compiere un lavoro che nongli riusciva o eseguiva male; ancora usata da qualcuno, inoltrato negli anni,malgrado il mutare dei tempi abbia fatto dimenticare tanti nostri vecchi modidi dire.
Però,riportandoci ai personali ricordi infantili, la frase non era bene appropriata,perché il significato dispregiativo di una categoria di artigiani, nonrispondeva a verità.
I calzolaidi Sant’Angelo dei Lombardi, comune della provincia di Avellino e centrooperoso della sempre verde “Irpinia” erano provetti operai che attraversodecenni s’erano conquistati nomea e fiducia di molte nostre famiglie popolane edel ceto medio, che badavano più alla durata delle scarpe anziché all’eleganza; fama e fiducia, che si fondavano, pure sulla probità di quegliartigiani, i quali affidavano a credito la loro merce; mercé l’impegno delpagamento dopo vari mesi, o rateale.
Alla paridei pantofolari marchigiani anch’essi scomparsi dalla scena urbana, i detticalzolai erano legati a questa città da vecchi rapporti tramandati di padre infiglio.
Erano solitivenire a Foggia, due volte l’anno: in occasione delle fiere zootecniche dimaggio e di Santa Caterina.
A finemaggio per consegnare i lavori eseguiti, incassare acconto sui crediti,accettare eventuali commissioni; a novembre per “prendere” le misure dellescarpe che avrebbero confezionate, nel chiuso delle botteghe, durante lefredde, umide uggiose giornate invernali, e consegnate nel maggio successivo;onde i giovani e le ragazze, preferibilmente ne potessero fare sfoggio durantei mesi estivi. Con i calzolai di Sant’Angelo dei Lombardi, non poche famiglieavevano dei vari “conti correnti” che non saldavano mai.
Era unacatena che legava gl’ingiustamente disprezzati artigiani e li poneva incondizioni di fare, sempre nuovi crediti. Specialità della loro produzione erala robustezza, dovuta alla buona qualità del cuoio che impiegavano edall’accurata sia pure grossolana esecuzione.
Un paio diquelle scarpe, si portava per parecchi anni; specialmente se le stesse com’erad’uso, venivano risuolate.
A CURA DI
ETTORE BRAGLIA