“Me mette’ au pizze d’a strate e sende l’addore di cartellate” cantava, allegramente, laforosetta che all’alba, lasciato il tepore del letto, s’incamminava sulla “ vianova” per il quotidiano lavoro dei campi, accompagnato dal coro delle compagne.Aria di Natale, dalle raccolte serate, nell’intimità delle famiglie, incompagnia della mamma e di congiunte, intente ai lavori a “crochet”, oassorbite nella lettura dell’appendice del “Roma”, che lo strillone foggianoSaverio Cipolla, all’Ave Maria prontamente recapitava. Aria di Natale che siavvertiva dal primo festoso scampanio di tutte le chiese annunziante la novenadell’Immacolata e dal suono delle ciamarelle che attirava la mai paga curiositàdei bimbi, ed infondeva tanta dolce letizia nelle innocenti anime infantili.
Accanto alfuoco, con il capo appoggiato sui ginocchi della nonna, intenta a raccontare lafavola serale ci si appisolava. Note festose fatte per i nostri piccoli cuori,ma interrotte a conferma delle gioie e dei dolori della vita, dal lugubre,famelico grido della contadina crocese : “ i fenucchielle janche I fenucchielle janche”; seguito da : “ l’acce, l’acce L’agghie fatte int’a luorte” A cannelline i rafani elle duje mazze nu turnese”
Erano questii terrazzani; i proletari del Tavoliere che dopo una giornata passata suglisconfinati tratturi, esposti alla pioggia, al vento, a tutte le intemperie incerca di erbe, funghi, lampasciuoli, a sera, non appena rincasati, malgrado lastanchezza e le infredditure, andavano in giro a vendere la merce per poteracquistare qualche chilo di pane. Tempi tristi e di vera miseria; tempi in cuiil popolo specie quello rurale tormentato dalla malaria languiva; tempi dicucine economiche comunali, in cui all’ora di mezzogiorno via San Francescod’Assisi oggi Via Catalano era affollata di gente in fila, col tegame tra lemani, che attendeva la razione di minestra, presentando il buono di acquisto,che costava quindici centesimi. Ma le palpebre si chiudevano al suono dellatromba che imponeva il silenzio notturno ai cavalleggeri della caserma deiCappuccini, tra le braccia della nonna si andava a letto. Nel periodonatalizio, il sonno spariva, distratto dalla preparazione del presepe che ognianno richiedeva dal negozio di Petrone a Porta grande, nuovi pupi; dallaricerca delle cartelle e panierino della tombola o dal desiderio dei dadi peril gioco dell’oca. Si pregustava la contentezza di passare, in compagnia diparenti e di amici parecchie serate, alla luce del lume a petrolio, intorno altavolo da pranzo. Dopo la festa dell’Immacolata, che si onorava a tavola, conqualche anticipazione culinaria natalizia; sulla strada con grandi fanoje(falò) e sparatoria di tric trac, pisciavennelle, botte in terra, che duravanofino a tarda ora, le famiglie, specie le benestanti, cominciavano ad occuparsidei preparativi per le giornate di Natale; che ordinariamente si protraevanofino all’Epifania.
La pasticceriacostruiva il cloù delle preoccupazioni, poiché oltre ai dolci delle notebotteghe De Mauro, Del Conte, Tarantino, Farina, De Meo, Pagano erano di ritoquelli fatti in casa: cartellate, schiarole, taralli, latte di mandorle,strufoli, calzoncelli, porcelluzzi, susamielli, mustaccioli ecc. dall’iniziodella novena, che si celebrava in Cattedrale con sfarzo di luci, predicatore difama, musica a grande orchestra diretta dal M° Luigi Nigri e largo concorso dipopolo, nelle cucine di ogni casa si lavorava in pieno, ed i fornai facevanoaffari d’oro, specie con la cottura di taralli e scaldatelli.
La notte del23 al 24 (antivigilia) era la più caratteristica e chiassosa per i moltissimifalò che si accendevano in ogni punto ed il continuo sparo di petardi. Le orchestrine allietavano la folla che girava ammirando le mostre deinegozi e facendo acquisti. Verso l’alba i “ciaramellari” giravano per le case,riscuotendo il compenso della novena ed accettando doni di dolci e cibarie. Levecchie e tarlate baracche della piazzetta, come tutte le botteghe si andavano,nel frattempo, riempiendo sempre più di ogni bene di Dio; le macelleriefacevano a gara, contornando gli ingressi di tacchini ed agnelli infiorati. Impressionantii cumuli di verdura provenienti da Lucera, San Severo e Barletta, con posti divendita nelle piazze. Ma la nota vivace, di colore e densa di folclore eraquella di pescivendoli, che in ogni angolo, improvvisavano bancarelle. Intercalandoalla vendita del pesce frasi tipo “so murte i ‘mpustature”, alludendo airitardatari che appostati compravano il pesce solo all’ora del tramonto sperandodi pagarlo di meno. I popolani si accontentavano del baccalà.
Con le prime luci del giorno 24, le cucine cominciavano a funzionare ed a mezzogiorno tutte le padelle friggevano i “pizzefritte” , le pettole, per lo spuntino che calmava, fino all’ora del cenone, i crampi dello stomaco. Alle 22, mentre si era ancora a tavola, il campanone del Duomo, come oggi, invitava i fedeli alla messa di mezzanotte; vi partecipavano le migliori famiglie e grande massa di popolo. Molti, però,rimanevano in casa: i mangioni per attendere l’alba di Natale e gli altri per giocare a tombola. In chiesa non mancavano, scherzi di buontemponi un po’ brilli. Alla processione del bambino Gesù partecipavano i pastori abruzzesi col cero in mano, nei loro tradizionali indumenti confezionati con pelli d’agnello e la manta di lana bianca sulle spalle, una scena pittoresca e commovente che si svolgeva al canto del “ Venite adoremus” mentre le campane annunciavano la nascita del Redentore.
A CURA DI
ETTORE BRAGLIA